Un artista che ha l'imitazione come dote innata, radicata come la pittura: in scena con due spettacoli nei Teatri italiani, Dario Ballantini si racconta a Teatro.it
La risata che dai banchi di scuola arriva al palcoscenico è il percorso che molti aspiranti artisti sognano.
Per Dario Ballantini è stato un percorso naturale, come lo è la dote di chi, sensibilità e occhio attento verso il mondo, riesce a calarsi con semplicità nei panni altrui, restituendone quei piccoli particolari che fanno sorridere della vita e ridere anche di se stessi.
Una mano tesa alla ribalta, l'alta sempre impegnata tra colori e pennelli, l'artista è in scena a Teatro con due spettacoli, Ballantini e Petrolini e Da Balla a Dalla, dove porta in scena due personaggi a lui molto cari: Ettore Petrolini e Lucio Dalla.
In questa intervista ci ha parlato della vita dell'artista, del mondo del Teatro e di due “simpatici” stalker che
gli hanno complicato un po' la vita.
Hai debuttato la scorsa stagione con lo spettacolo su Ettore Petrolini, precursore della comicità italiana: come ci sei arrivato e perché proprio lui?
Ce lo avevo in repertorio da tanti anni, dalla mia infanzia, lui ha creato e inventato la comicità, ne è stato davvero il precursore, con risultati incredibili essendo un autodidatta.
Ai più Petrolini è un artista molto poco conosciuto, perché dovrebbero appassionarsi a lui?
Perché resta estremamente attuale; il pubblico, soprattutto i giovani, si meravigliano perché di fatto ha inventato e anticipato il rap, il punk elettronico se pensiamo al personaggio di Fortunello, e parliamo del 1906...
Contemporaneamente in un altro spettacolo diventi Lucio Dalla. Lo disegnavi sul diario di scuola, che cosa ti ha rapito di lui come artista?
Si, ho sempre amato la sua musica fin da ragazzo, poi l'ho incontrato e siamo diventati amici. Portarlo sul palco è sempre un emozione, presento anche dei pezzi inediti, un Dalla che nessuno conosce, ed è sempre apprezzato.
Sei un comico e un imitatore, quale dei due aspetti ha trascinato l'altro nella tua carriera?
Dunque, direi che le imitazioni sono una dote, ci sono cresciuto insieme, sono stato spronato dai compagni di scuola, dagli amici, mi dicevano “devi fare questo nella vita”. L'imitazione è andata di pari passo con il disegno, mentre parliamo sto disegnando, e anche se ero molto timido alla fine ho seguito la mia indole e la comicità è arrivata insieme al resto, veicolata nelle imitazioni.
Ti è mai capitato che qualcuno credesse davvero tu fossi il personaggio in cui ti eri calato?
Mi è capitato con Maroni e La Russa, con Valentino all'estero un sacco di volte, con Montezemolo e due volte con Tozzi che senza occhiali mi ha scambiato per il Morandi vero. Ah, poi una volta con il figlio di Paoli che mi vide a Sanremo e pensò che il padre fosse andato lì senza dirglielo, si arrabbiò molto.
Cosa significa per te far ridere il pubblico e cosa fa ridere te?
La risata è la cosa più bella in assoluto, più dell'applauso. Perché quando ti applaudono c'è un'intenzione, quella di restituire una conferma, mentre la risata è la cartina tornasole, è irresistibile.
A me fanno ridere i comici un po' disperati, non quelli che hanno fatto la scelta di diventare comici, ma quelli che hanno successo dopo aver subito, agli altri manca la disperazione. I fichi d'india ad esempio, ruspanti, dotati ma senza tante regole, due animali sul palco. Sono come Franco e Ciccio, questi talenti puri mi fanno ridere, mi piacciono, come Totò, De Filippo. Anche oggi ci sono i comici bravi, Battista mi fa ridere, ma ci deve essere sempre qualcosa di sanguigno. Vedo troppa satira e troppi contenuti... Io apprezzo un minimo contenuto ma molta sostanza comica.
Imitare significa avere curiosità dell'aspetto esteriore o anche di quello interiore?
E' la capacità di mettersi nei panni altrui, ci vuole molta sensibilità ed osmosi con certi personaggi, un'attitudine che è stata una scelta. Ripeto, il mondo mi ha fatto capire che era quella la mia strada, i compagni di liceo, la famiglia...
Siete ancora amici?
Si, ho tre amiconi, compagni di liceo, mi dicono sempre che almeno io ho fatto l'artista, ci sono riuscito.
Il personaggio che vorresti interpretare in futuro, in Teatro o al Cinema, e quello che non avresti mai il coraggio di portare in scena.
Avevo in repertorio Jannacci, in Teatro sarebbe anche da prendere in considerazione, mi piacerebbe Totò, ma non vorrei scivolare nel cliché.
Uno che non farei mai... Intanto come vedo che non viene un personaggio non lo faccio. Ad esempio Di Maio per me non è fattibile, abbiamo una fisicità diversa. Alcuni sono troppo inflazionati e quindi non ha senso farli. Conte forse, mi fa ridere, mi ricorda Montesano e Totò.
Oltre alla recitazione, è la pittura la tua seconda forma di espressione artistica o ce ne sono altre nascoste?
La pittura ha camminato di pari passo con me negli anni in cui non ero in TV, e sono stati sedici anni, mi firmavo Ballantini come pittore ed ero Dario l'imitatore. Tenevo i due ruoli divisi. Oltre alla pittura mi sono cimentato anche nella video-art per musicisti di nicchia, un titolo è “Piccoli animali senza espressioni”.
In passato il Teatro era padrone della televisione, oggi sembra più il contrario, come dovrebbe muoversi il mondo del Teatro per invertire la rotta?
Una volta c'erano gli sceneggiati, che avevano il fascino del Teatro in TV, se la regia è quella giusta il Teatro in televisione è fantastico, pensiamo a Natale in casa Cupiello, magistrale.
Il cinema potrebbe fare di più, hanno fatto film su tanti miti della musica, dello sport, per esempio sui Queen, perché non sui grandi uomini di Teatro? Immaginiamo un film su Eduardo De Filippo, basta solo non avere paura dell'impopolarità, secondo me funzionerebbero alla grande.
Cosa trovi ci sia di innovativo nel mondo del Teatro, ancora oggi, e cosa invece non funziona e andrebbe totalmente rivisto?
L'emozione dello spettacolo ben fatto dal vivo è irripetibile, non ha eguali. E' come dire in una dieta “mangia quello che vuoi” e non metterci anche l'acqua. Il Teatro è una parte che se perdi, perdi tantissimo, è solo questione di abitudine. Si deve partire dalle scuole, far capire cosa significa perdere l'emozione dello spettacolo live, come ascoltare un CD di Vasco Rossi o andare al concerto...
Poi bisogna parlare degli addetti ai lavori. Ascoltando un po' di lamentele in giro ho capito che a volte scatta un meccanismo non chiaro, per cui vengono messi in scena spettacoli per dovere e non per senso artistico. Se il pubblico si aspetta di assistere a uno spettacolo e poi questo non ha anima, se chi sale sul palco lo fa diciamo per routine, a Teatro poi la gente non ci va.
Molte volte mi sento dire “ah finalmente uno spettacolo appassionante”, se ti annoi a Teatro c'è qualcosa che non va. Se un attore lo fa perché “tocca fare sta cosa, mi hanno messo questo ma non mi piace” e che ha lavorato con gente che non gli piace, allora gli sta bene che vada poca gente. Il Teatro è brividi ed emozioni, e tu che fai, l'impiegato? Meglio dare importanza a un allestimentone o avere bestia rara sul palco? In scena ci deve essere gente che ti fa venire i brividi e non gente che ha imparato il mestiere.
Ti sono mai capitati fan particolarmente “creativi” in gesti o regali?
Un paio di mitomani, direi due stalker si, avevano decisamente problemi psicologici, poi nel tempo si sono quietati."
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